Sull’insegnamento di fisica nelle classi sesta, settima ed ottava (classi medie)
Sull’insegnamento di fisica nelle classi sesta, settima ed ottava (classi medie)
Maestro Luca
Nella scuola steineriana la fisica viene portata non prima del dodicesimo anno di età, cioè in sesta classe (prima media).
E’ noto come ogni insegnamento venga considerato come una risposta evolutiva al momento di sviluppo dell’alunno: esso deve essere dato al momento opportuno e nel modo adeguato al fine di accogliere ed impegnare le forze che di volta in volta emergono in lui; in caso contrario esse non trovano un corrispettivo nel mondo esterno e allora non vengono giustamente accolte e non portano al giusto sviluppo.
Per chiarire il momento opportuno e il come dell’insegnamento della fisica, come anche della mineralogia e della chimica, occorre quindi partire dalla situazione antropologica del ragazzo.
Solo intorno agli undici-dodici anni il giovane, entrando nella pubertà, inizia a sperimentare la gravità nel suo stesso corpo, il quale via via si appesantisce e incrementa la propria struttura ossea: essa è irradiata dallo scheletro e dalla sua meccanica, che minaccia di sopraffarlo.
Tutti conosciamo i movimenti flessuosi dei bambini delle classi precedenti, assorbiti dal movimento della corsa e del gioco, e l’indolenza dei ragazzi. Se prima era determinante l’elasticità muscolare, ora lo e il peso delle ossa.
Assieme all’esperienza diversa, interiorizzata, del proprio corpo, si forma gradualmente all’esterno un maggior senso per ciò che e morto, meccanico. Dopo tale età ciò che nel mondo esterno è morto e meccanico deve essere indagato in modo da poterlo vivere ed elaborare cognitivamente. Allora esso risveglia e rafforza l’attività mentale.
Per tale motivo le scienze naturali analitico-causali (in particolare la fisica, caratterizzata dall’attenzione alle cose inanimate e dalla comprensione dei meccanismi) devono essere portate con forza incontro ai ragazzi. Non devono essere sprecate durante gli anni scolastici precedenti, quando non si sono ancora sviluppati il senso e l’interesse per esse. Anzi, l’intensità e la flessibilità psicologica non dovrebbero essere distrutte in un’eta in cui determinano ancora il senso di appartenenza al mondo.
Incominciando con la fisica al tempo giusto, poniamo quindi davanti al ragazzo qualcosa che passa nel suo capo, che vive nel suo pensare, e dall’interno gli viene incontro quello che egli sperimenta attraverso il sistema osseo. Così quello che gli diciamo si lega con quello che vuole venire dal suo corpo. In tal modo nasce una comprensione non astratta e intellettualistica bensì vivente.
Tutti i contenuti di fisica vengono presentati ai ragazzi attraverso l’osservazione di fenomeni, i quali solamente coinvolgono e nutrono il bisogno degli stessi di rapportarsi in modo nuovo e profondo con il mondo. Solo dopo aver mosso e scaldato l’interiorità dei ragazzi attraverso gli esperimenti si può giustamente stimolare l’intuizione pensante di un nesso causale. Rudolf Steiner riassume questa metodica nella frase: la conoscenza del mondo, e quindi di sé, nasce dall’unione di percezione e concetto, dove temporalmente il percepire precede.
Si viene così a delineare anche il come insegnare in modo sano a questa età, tramite proprio queste due colonne della metodica dell’insegnamento steineriano: la presentazione, l’osservazione dei fenomeni nella loro varietà e ricchezza e l’elaborazione degli stessi mediante il pensare. In tal modo si arriva ad intuire che il concetto è la controparte ideale del fenomeno.
Ecco illustrata una tipica lezione di fisica.
II primo giorno l’insegnante presenta gli esperimenti senza premesse teoriche, mentre
i ragazzi, senza prendere appunti, seguono con attenzione tutto il processo. Poi l’insegnante riassume le fasi principali di ciò che è avvenuto poco prima e i ragazzi, solo allora, prendono appunti. Importante è una descrizione accurata e ricca di aggettivi dello svolgimento degli esperimenti svolti, elencando il nome delle singole parti tecniche e mettendo in luce alcuni punti fondamentali.
Nell’ultima parte della lezione verrà magari letta una biografia o un racconto, collegato con quello che i ragazzi hanno sperimentato in quella mattina o attinente al contenuto della materia stessa.
Nel pomeriggio, come compiti per casa, i ragazzi completano la descrizione.
Il giorno seguente l’insegnante mostra alla lavagna i disegni degli esperimenti svolti il giorno precedente e alcuni ragazzi leggono la propria relazione, mentre i compagni, facendo tesoro delle indicazioni aggiunte dall’insegnante, migliorano e autocorreggono il proprio testo. Vedendo il disegno alla lavagna realizzato dall’insegnante con cura e dovizia di particolari, i ragazzi eseguono il proprio disegno sul loro quaderno.
I ragazzi, stimolati dalle domande dell’insegnante, giungono poi a formarsi un’immagine personale del fenomeno; mettendo insieme le osservazioni dei vari interventi, ci si avvicina sempre più alla legge fisica che sta alla base del fenomeno osservato il giorno precedente, finche ad un certo punto si giunge alla definizione finale della legge.
Ora che il fenomeno è compreso si può dare un titolo all’esperienza fatta. I ragazzi propongono dei titoli ed insieme si sceglie il più adatto.
L’insegnante ritira le descrizioni che dovrebbero già essere state autocorrette dai ragazzi per poi riconsegnarle loro il giorno seguente. Quindi si precede a presentare i nuovi esperimenti con le stesse modalità del giorno precedente.
Nel pomeriggio i ragazzi relazioneranno i nuovi esperimenti e ricopieranno nel quaderno le relazioni già corrette dall’insegnante.
A conclusione dell’argomento affrontato, si scrivono nel quaderno le considerazioni conclusive alle quali è stato possibile giungere grazie alle osservazioni giornaliere e ad una elaborazione complessiva delle esperienze fatte.
Tutto questo in modo continuo per tre o quattro settimane!